DPCM 3 novembre 2020: I libri sono “beni essenziali” e le biblioteche chiudono?

Al Ministro per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo, On. Dario Franceschini

Al Ministro per la Salute, On. Roberto Speranza

Al Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, On. Francesco Boccia

Al Ministro dell’Istruzione, On. Lucia Azzolina

Al Ministro dell’Università e della Ricerca, Prof. Gaetano Manfredi

Per conoscenza:
Al Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Prof. Silvio Brusaferro

Al Presidente della Conferenza delle Regioni, Sig. Stefano Bonaccini

Al Presidente dell’Associazione nazionale dei Sindaci, Ing. Antonio Decaro

Al MiBACT – Direttore Generale per le Biblioteche e Diritto d’autore, Dott. Paola Passarelli

Al Presidente del Centro per il libro e la lettura, Dott. Diego Marani

Al Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, Prof Ferruccio Resta

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Illustri Signori Ministri,

come da più parti è stato ricordato, i libri sono beni essenziali, perché sono strumenti primari di apprendimento, di ricerca, di conoscenza, perché stimolano l’immaginazione e la capacità di elaborazione critica ed espressione del pensiero, perché moltiplicano le opportunità di trovare soluzioni ai problemi propri e degli altri, perché sono compagni di viaggio che aiutano a leggere il mondo oltre l’orizzonte dell’esperienza quotidiana individuale, a non sentirsi soli, ad affrontare la solitudine, le paure, le difficoltà che oggi più che mai affliggono le nostre esistenze e che rischiano di schiacciare i destini di coloro che sono fisicamente, socialmente o culturalmente più esposti. I libri sono tanto essenziali che il recente DPCM del 4 novembre per il contrasto alla pandemia da COVID-19 prevede che le librerie restino aperte anche nelle “zone rosse”, esposte al più alto rischio di diffusione del contagio. Lo stesso DPCM ha però disposto – invero con un linguaggio non comprensibile alla generalità dei lettori – la sospensione dell’apertura al pubblico dei musei, delle mostre “…. e degli altri istituti e luoghi della cultura”, e quindi anche delle biblioteche, come definite dalla lettera b) del secondo comma dell’art. 101 del Codice dei beni culturali, relativo agli “Istituti e luoghi della cultura”. Si tratta di tutte le biblioteche appartenenti allo stato e a organismi pubblici e di quelle private aperte al pubblico.

Le biblioteche dove è custodita la massima parte dei libri prodotti dall’ingegno umano: non solo quelli che risalgono ai secoli passati, ma anche, e dal punto di vista numerico soprattutto, i tantissimi libri esauriti in commercio, spesso a distanza di pochi mesi (!) dall’uscita.

Le biblioteche dove non si paga per leggere o per avere in prestito un libro, perché una grande conquista della democrazia è che tutti, ma proprio tutti, hanno diritto di accesso alla conoscenza, anche coloro privi di mezzi. Sapete, Signori Ministri, per quante persone e per quante famiglie comprare anche solo due libri all’anno costituisce un lusso? Sapete che i bonus e gli incentivi all’acquisto di libri, per quanto cospicui ed estesi, possono arrivare a coprire solo una minima parte dei differenti bisogni di lettura? Sapete che le biblioteche sono state inventate proprio per supplire a questi bisogni, oltre che per custodire la memoria registrata?  Sapete che in tempi di crisi economica l’uso delle biblioteche e in particolare del prestito bibliotecario ha sempre registrato valori in aumento? Naturalmente questo succede dove le biblioteche sono aperte e funzionano e comprano libri e li mettono a disposizione.

Le biblioteche che servono agli studenti e ai ricercatori, le biblioteche che servono ai lavoratori e ai professionisti in cerca di opportunità di lavoro, le biblioteche che servono ai bambini, agli anziani, agli adulti, alle famiglie, a tutti coloro che hanno bisogno di leggere libri e a tutti coloro che in biblioteca scoprono di avere bisogno di leggere libri.

Le biblioteche che in Italia, come ebbe a dirci una volta un Ministro di legislature passate che è sempre stato attento al nostro settore come Luigi Berlinguer, “purtroppo sono sempre state neglette”.

Le biblioteche che – da decenni a questa parte e con poche eccezioni – vedono invecchiare e diminuire i loro organici, le loro dotazioni funzionali, gli spazi ad esse riservati e che da ultimo sono state persino assimilate ai musei come se la loro funzione prevalente non fosse organizzare servizi per l’accesso alla lettura, ma esposizioni di reperti.

Avevamo salutato con soddisfazione il recente stanziamento straordinario per acquisto libri da parte delle biblioteche: senza illusioni sulla finalità della misura, volta principalmente e meritoriamente a dare ossigeno al mercato librario in difficoltà, ma auspicando che finalmente fosse arrivato il momento per tutti i decisori politici di interrogarsi anche su come far crescere negli italiani il bisogno e le opportunità di lettura, e su come promuovere l’uso delle biblioteche per questa finalità, potenziandone in modo strutturale il personale, le sedi, le dotazioni e conseguentemente i servizi.

Abbiamo letto gli appelli accorati di numerosi intellettuali per la riapertura delle biblioteche e contemporaneamente abbiamo raccolto dati negli ultimi mesi su quante amministrazioni pubbliche non hanno bandito concorsi per il reclutamento di personale bibliotecario quando anche l’ultimo dei bibliotecari in servizio era andato in pensione, quante non hanno rinnovato appalti o contratti di collaborazione per servizi bibliotecari e quante altre hanno spostato ad altri uffici i pochi e già insufficienti bibliotecari sopravvissuti. 
Eppure, le biblioteche durante il primo lockdown sono state forse il settore pubblico complessivamente tra i più “resilienti”, più vicini ai cittadini di tutte le età e condizioni, più capace di rimodulare la propria offerta di documenti e servizi a distanza. I numeri ci dicono che si sono moltiplicate le attività di assistenza bibliotecaria personalizzata e i programmi delle biblioteche per l’information literacy e si sono moltiplicati, in certi casi raddoppiati gli accessi del pubblico alle fonti digitalizzate e a quelle digitali native acquistate e messe a disposizione dalle biblioteche. 
Ma durante il primo lockdown abbiamo avuto anche la prova evidente di quanto essenziale sia tuttora il prestito bibliotecario “tradizionale”, quanti libri disponibili esclusivamente a stampa e spesso esclusivamente in biblioteca siano necessari per soddisfare i bisogni dei nostri molteplici pubblici – dei nostri studenti, dei nostri ricercatori, dei nostri bambini, dei nostri anziani, dei nostri concittadini. 
L’inopinata chiusura dei servizi locali delle biblioteche – peraltro con un sistema del diritto d’autore ancora non aggiornato con un adeguato recepimento della direttiva 2019/790 che impedisce di digitalizzare e inviare copie digitalizzate di opere protette, almeno a quanti hanno accesso alla rete e/o capacità di consultare risorse digitali – significa di fatto negare servizi essenziali di base come l’accesso ai libri e alla lettura.
Mentre le librerie, ma anche i parrucchieri, restano aperti indipendentemente dal colore delle aree di rischio – da quelle verdi a quelle rosse -, una misura così drastica come impedire l’accesso ai servizi locali delle biblioteche, e in particolare al prestito e alla consultazione di libri, ancorché su appuntamento e rispettando tutte le misure anti-COVID-19 previste dalle autorità governative e applicate professionalmente dai bibliotecari, si potrebbe spiegare solo in base a evidenze raccolte dal Comitato di esperti che dimostrassero la diffusione significativa di contagi nelle biblioteche, o il sovraccarico dei mezzi pubblici causato da coloro che si recano in biblioteca.

Se invece le biblioteche sono risultate essere – come noi crediamo di poter affermare – tra i luoghi pubblici più sicuri e raccomandabili dove recarsi, potremmo capire l’utilità di una indicazione prudenziale a non consentire il servizio di consultazione in sede, o a effettuare una valutazione caso per caso secondo le caratteristiche della sede e l’entità prevista dell’affluenza. Ma non comprendiamo perché impedire anche il prestito dei volumi, gestito con tutte le dovute cautele a tutela della salute degli operatori e del pubblico e ferma l’ovvia condizione che la biblioteca sia in grado di assicurarle. In questo modo si privano non solo studenti e ricercatori delle fonti necessari per progredire nei loro studi (perché le biblioteche sono strumenti essenziali per l’effettività del diritto allo studio e del diritto alla ricerca), ma tutti i cittadini e in particolare quelli socialmente ed economicamente più svantaggiati di un servizio essenziale, e il tutto proprio in una delle fasi più dure e difficili della loro esistenza.

Siamo certi che non è questo l’effetto che avevate previsto e a più forte ragione vi chiediamo:

  • di consentire l’apertura al pubblico delle sedi delle biblioteche su tutto il territorio nazionale, almeno perché possano effettuare il prestito bibliotecario dei libri;
  • di adottare misure strutturali per sostenere il potenziamento dei servizi bibliotecari e la continuità del lavoro professionale dei bibliotecari, tanto in sede quanto in modalità “lavoro agile”, per la gestione delle biblioteche e dei loro servizi locali e digitali.

Nell’anno del recepimento con legge nazionale della Convenzione di Faro, siamo certi che a voi Ministri e a tutto il Governo nazionale stia a cuore quanto sta a cuore a noi l’obiettivo della partecipazione di tutti alla vita culturale del paese e lo sviluppo di strategie e servizi per promuovere uguaglianza dei diritti e pari opportunità di accesso alla conoscenza. 

Da parte nostra, come Associazione Italiana Biblioteche, continueremo ad impegnarci per la crescita professionale dei bibliotecari e per la costruzione di servizi bibliotecari e per promuovere una sempre maggior consapevolezza del loro ruolo nella crescita culturale del nostro paese, volano essenziale per la ripartenza.

Il Presidente AIB
Rosa Maiello

Roma, 5 novembre 2020
Prot. n. 269/2020

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